È
un brano del libro (ebook) “Il Clima e l’Ambiente”, di Alfio Giuffrida,
disponibile su Amazon ( http://t.co/L1oZOWLK
). Fa parte del Verismo Interattivo, il nuovo genere letterario introdotto
dall’autore, che consiste nell’inserire, all’interno del testo, degli argomenti
culturali e di attualità che il lettore può approfondire partecipando al Forum
sul sito http://www.alfiogiuffrida.com/Forum.aspx
. In questo libro gli argomenti trattati sono: Il Diluvio Universale (è
realmente accaduto oppure è stata una punizione divina?). I Medicane (uragani
nel Mediterraneo, sono possibili?). Il Telelavoro (è possibile lavorare da
casa?). Il clima di città (la presenza dell’uomo modifica il clima di una
regione?), .. e molti altri.
Un contributo secondario, che
in un primo momento era stato scambiato per quello primario, è l’aumento dei
prodotti di scarico, che le aumentate attività umane ed in particolare quelle
legate all’incremento delle auto, della tecnologia e dell’industria, immettono
nell’atmosfera.
In effetti la percentuale che
si può attribuire a questo fattore non è elevata, tuttavia la situazione si
aggrava se vengono immesse nell’aria sostanze estranee, come scarichi di
prodotti industriali, i quali possono reagire chimicamente con l’aria dando
vita a nuovi prodotti, con rilascio di ulteriore calore, dovuto alla reazione
chimica che avviene quando l’inquinante immesso nell’atmosfera reagisce con
l’ossigeno dell’aria.
Anche in assenza di attività
industriali, gli scarichi delle automobili e dei riscaldamenti domestici a
gasolio possono produrre reazioni chimiche con rilascio di calore.
Infine la mancanza di
vegetazione può dare un piccolo ma ulteriore contributo al riscaldamento
urbano, a causa del mancato raffreddamento dovuto alla traspirazione delle
piante. Ultimo, anche se non trascurabile, è il contributo dovuto direttamente
ai riscaldamenti domestici.
Riassumendo, le cause principali
che determinano la formazione dell’isola di calore sono cinque, e precisamente:
1. la presenza degli edifici che, causando un gran numero di
riflessioni nella radiazione proveniente dal Sole, assorbono una quantità di
calore notevolmente più elevata del terreno rurale.
2. la conservazione del calore solare all’interno delle zone
vuote degli edifici;
3. la generazione di calore come prodotto di trasformazione
delle attività umane, quali i trasporti e le attività industriali, compreso il
rilascio di calore che avviene nelle reazioni chimiche tra i prodotti degli
scarichi industriali e l’aria;
4. la bassa evaporazione nell’area urbana a causa della
mancanza di vegetazione;
5. il calore prodotto direttamente dall’uomo attraverso i
riscaldamenti domestici.
In conclusione si può
affermare che l’isola di calore urbano è un fenomeno soprattutto notturno,
quando è la terra ad emettere la radiazione termica. Inoltre essa è dovuta
principalmente alla geometria urbana e non all’immissione nell’atmosfera di
calore prodotto direttamente dall’uomo, come ad esempio l’uso di termosifoni.
Infatti tale fattore nel periodo estivo darebbe un contributo nullo e quindi la
differenza tra estate ed inverno dovrebbe essere sensibile, cosa che invece non
accade.
Fig. 10 – Brezza di città
La presenza dell’isola di
calore crea inoltre una particolare circolazione del vento, simile alla brezza
di mare, solamente che assume una forma circolare attorno alla zona urbana.
Questa, che potremmo chiamare
“brezza di città”, può essere un fattore positivo per i quartieri esposti alle
zone agricole o, comunque, non inquinate, mentre diventa un fenomeno altamente
negativo per quei quartieri che sono sottovento alle zone industriali
Una conseguenza dell’isola di
calore, che una grande metropoli introduce nel microclima di una regione, è
sicuramente lo stress indotto sull’organismo umano dal repentino passaggio tra
climi diversi che facciamo ogni mattina spostandoci tra zone con climi diversi,
soprattutto per chi vive nei quartieri residenziali, ai bordi della città e
lavora in centro.
Per fare un esempio chiaro,
una persona che vive in un’area rurale e raggiunge il suo ufficio al centro
città in trenta minuti, ogni giorno sottopone il suo organismo a veloci
variazioni climatiche.
Supponiamo di essere in
inverno: si alza in un clima riscaldato, proprio degli ambienti domestici, esce
in un ambiente freddo e ventilato, rimane mezz’ora in macchina, in un ambiente
caldo e chiuso. Esce per pochi minuti all’aria fredda e poi si ritrova per
alcune ore nell’ambiente riscaldato e povero di umidità, proprio degli uffici.
A fine lavoro esegue gli stessi adeguamenti climatici in senso inverso e la
sera, se ritorna in città per qualche motivo, affronta nuovamente gli stessi
percorsi. In estate, a causa dei condizionatori d’aria negli ambienti chiusi,
le variazioni climatiche sono inverse, ma di entità anche maggiori.
Questi sbalzi di temperatura
sicuramente non fanno bene alla salute. Il problema è stato evidenziato in
forma esasperata durante le Olimpiadi di Atlanta, negli USA, dove molti atleti
si lamentarono che l’aria condizionata, negli autobus che usavano per andare
dagli alloggi agli stadi, era troppo forte e procurava loro dei fastidi.
E allora? Dobbiamo scegliere
se soffrire in città o vivere in campagna adattandoci al solo lavoro di
contadino? Certo le due soluzioni estreme non sono accattivanti, tuttavia si
stanno studiando una serie di compromessi per risolvere il problema. Uno di
questi sarebbe quello del “telelavoro”.
Questa idea è stata studiata
negli Stati Uniti, per risolvere il drastico calo di rendimento che
statisticamente si è notato nelle giornate particolarmente afose. Inizialmente
era stata presa in considerazione la possibilità di lasciare a casa i
dipendenti (retribuiti ma senza l’obbligo di venire in ufficio e prestare la
propria opera) per il fatto che erano aumentati i casi di malattie della
respirazione che avvenivano negli uffici non dotati di aria condizionata, con
gravi esborsi di risarcimento ai dipendenti da parte delle società. In altri
casi si era notato che, pur spendendo molto per dotare gli uffici di potenti
condizionatori e tenerli accesi, il calo di rendimento nelle giornata di afa
intensa era inevitabile, per cui era preferibile dotare gli uffici di impianti
meno potenti e lasciare a casa i dipendenti nei pochi casi in cui la
“temperatura di effetto” era superiore ad una certa soglia. La temperatura di
effetto è un nuovo parametro fisico, ottenuto da una formula in cui entrano in
gioco la temperatura, l’umidità relativa ed il vento, che rende conto del
disagio fisico al quale è sottoposto il nostro organismo quando il valore della
temperatura di effetto supera una certa soglia.
Non esiste ancora una formula
unica per il calcolo della temperatura di effetto. Per adesso possiamo
adoperare uno degli ”Heat Index”, come ad esempio l’indice “Humidex” visto nel
capitolo precedente ed applicabile principalmente nel periodo estivo.
Tra i giornalisti il
telelavoro è già una tecnica ben sperimentata ed usata, molti vivono in una città
ed esercitano il loro lavoro in un’altra, inviando i loro articoli via email.
Una cosa veramente ben fatta
sarebbe quella di poter applicare il telelavoro per i dipendenti pubblici.
Questo tornerebbe molto utile non solo nei giorni di grande afa o di freddo
intenso, ma sarebbe anche un modo per favorire il lavoro delle donne, che
spesso sono costrette a stare a casa non tanto perché sono ammalate loro
stesse, ma per accudire i loro bambini o familiari costretti a letto da qualche
malattia, impossibilitando anche i genitori a recarsi al loro lavoro. Sarebbe
ugualmente utile per alcuni portatori di handicap, che potrebbero svolgere
normalmente utilissimi lavori restando a casa, mentre il fatto di dover andare
in un ufficio li obbligherebbe a dei percorsi lunghi ed impegnativi, impedendo
loro di avere un impiego, mentre con il telelavoro tutto ciò sarebbe possibile,
con soddisfazione (economica e morale) loro ed con un indiscusso beneficio alla
comunità.
In effetti dei progetti di
legge su questo argomento sono già allo studio da parte del governo, ma ancora
non si vedono risultati apprezzabili. Ci auguriamo di vederli presto.