Questo brano costituisce il terzo capitolo del romanzo: La setta delle tre erre - di Stefano Uggè, Editore: Cavinato (in e-book e tra poco in cartaceo). Il testo è “Proprietà letteraria riservata” dell’Autore. La pubblicazione di parte di esso su questo sito è stata effettuata con il permesso dell’Autore, che ne ha inviato una copia in formato editabile all’amministratore del sito
Cap. 3
Sandro aprì gli occhi. La testa gli faceva male.
Era disteso su un letto e intorno a lui l’arredamento era semplice: un armadio, due comodini, un tavolo e una piccola poltrona.
Il soffitto era in legno, grosse travi di rovere scendevano a spiovente sopra la sua testa a poco più di un paio di metri. Nella parte più alta della stanza, incastonata tra i travetti, una piccola finestra sigillata, da cui filtrava la calda luce del sole.
Sentiva alcuni versi acuti, in lontananza; sembravano gabbiani.
Si sedette sul letto cercando di rimettere in moto la memoria, per capire dove si trovava. Ma gli ultimi ricordi erano solo dei flash istantanei, che gli si accendevano e si spegnevano nel cervello, come diapositive di un proiettore: una chiesa dall’aspetto inquietante, una ragazza bionda, una porta che si apriva. Nient’altro.
Osservò meglio quello che lo circondava: due faretti spuntavano dalle pareti e illuminavano la stanza; il pavimento era in parquet, e a giudicare dalla lucidità del legno, doveva essere nuovo.
La stanza profumava di fresco, e la luce del sole, che si introduceva furtiva attraverso il velux, mostrava che l’ambiente era privo di polvere.
Ma l’ordine e la pulizia non erano sufficienti a rasserenarlo.
Si alzò dal letto e scattò verso una delle due porte che c’erano alla sua destra. La maniglia non si apriva e mancava la serratura. L’angoscia iniziò a stendere il suo velo di terrore su di lui.
Provò l’altra porta, che si aprì subito. Con la mano sinistra tastò la parete e trovò l’interruttore.
Dopo qualche secondo, la luce del neon lampeggiò due volte e rimase fissa, illuminando gli oggetti all’interno del locale; non era nient’altro che un bagno.
Sandro tornò a sedersi sul letto, confuso e spaventato. Appoggiò i gomiti sulle cosce e si prese la testa tra le mani. Sentiva l’avvicinarsi delle lacrime.
Oltre ai versi provenienti dal cielo non c’era nessun rumore. Anche a volersi sforzare, tendendo l’orecchio e chiudendo gli occhi, percepiva solo il sordo e soffocato suono del suo respiro tormentato.
Rovistando nelle tasche si accorse che gli mancava il cellulare, ma anche quella scoperta, purtroppo, si aggiungeva alla pila di eventi che non facevano più parte dei suoi ricordi.
Decise di non abbattersi e rialzò la testa, in cerca di qualcosa che potesse aiutarlo a capire dove si trovava.
Sul tavolino, a fianco di un portacenere - inutile perché lui non fumava più da tempo - c’era una televisione a schermo piatto; sotto di essa, sul tavolo, un telecomando con pochi tasti. Lo prese e provò ad accenderla.
Il led nell’angolo in basso a destra lampeggiò una volta e lo schermo si illuminò.
C’era una chiesa gremita di gente e un sacerdote con la veste bianca che celebrava messa. Al suo fianco, due ragazzini, che avranno avuto circa dodici anni, gli facevano da chierichetti. Dietro il terzetto, leggermente spostato sulla destra, un prete giovane vestito di nero ascoltava, con le mani giunte in preghiera. In alto, sulla sinistra, sopra un pulpito ornato d’oro, un ragazzo sedeva all’organo e una ragazza era in piedi al suo fianco, tenendo in mano uno spartito.
Sandro provò a cambiare canale, ma le immagini erano sempre le stesse. Osservando con cura, notò che sullo schermo non c’era nessun logo o numero di identificazione; era come se si trattasse di una registrazione trasmessa su tutti i canali della televisione; oppure, la televisione era stata programmata copiando un unico canale su tutti quelli disponibili.
Quel telecomando non consentiva nessun tipo di modifica, ma era utilizzato solo per scorrere i canali o per modificare il volume.
La sensazione di trovarsi chiuso in una stanza (probabilmente una mansarda), senza sapere dove si trovava e senza alcun mezzo di comunicazione, iniziava ad agitarlo.
Le lunghe e ossute dita della paura lo stavano sfiorando con la macabra leggerezza del tocco della morte.
Dopo aver spento la televisione ed essersi calmato, decise di farsi una doccia; lo avrebbe aiutato a rilassarsi e ad accettare quella grottesca situazione.
Il bagno era piccolo, ma anch’esso ben pulito e in ordine. Sul muro di sinistra, il lavandino era incassato in un mobiletto con lo specchio ovale; il box doccia era nell’angolo destro, vicino ad un termosifone scaldasalviette.
Sandro fece scorrere la porta in plastica che chiudeva la doccia e aprì il miscelatore, poi si spogliò.
Mise il dorso della mano sotto l’acqua corrente; la temperatura era quella giusta.
Entrò in doccia e si lasciò abbracciare dal flusso tiepido dell’acqua che gli scaldava la pelle intorpidita, e gli provocava piacevoli brividi, causati dallo scambio termico tra le gocce e il suo corpo freddo.
Era una goduria. Finalmente i nervi si stavano rilassando, come le funi di un ancora nell’attimo in cui tocca il fondo del mare. Le paure, le preoccupazioni e l’ansia erano state parcheggiate in un angolo. Niente era meglio di una doccia calda per calmarsi e ricaricare le batterie.
Chiuse gli occhi. L’acqua, al contatto con la testa, scendeva dalla fronte, scorreva lungo le palpebre chiuse e precipitava verso il basso, distribuendosi lungo tutto il suo corpo.
In quegli istanti di pace e tranquillità, nella sua mente riaffiorò il viso di Katy; la ricordava scendere dalla moto muovendo sinuosamente le sue lunghe gambe, e gli tornò in mente il suo sorriso dolce che si contrastava in maniera perfetta con i suoi lineamenti forti, la mascella leggermente squadrata e quegli occhi grandi. Vedeva il suo sguardo in primo piano, così ammiccante e misterioso.
Sorrise per un istante, poi riaprì gli occhi.
Li spalancò, terrorizzato. Si guardò il corpo, agitando la testa come un indemoniato. Non credeva a ciò che stava vedendo.
Si toccò la pelle e si guardò le mani. Era tutto vero.
Gli girava la testa. Stava per svenire.