Manuela e la tomba di Michel
Era quasi sera quando Alberto arrivò davanti alla tomba di Michel, si accorse subito che c’era Manuela seduta sul bordo, piangeva ed aveva una pistola in mano. In quel momento si rese conto che tutto ciò che aveva “visto” nel suo presentimento era vero. Appena Manuela lo vide si irrigidì, strinse forte la pistola, come se avesse paura che qualcuno potesse distoglierla dal suo intento, ma Alberto cominciò a parlarle con calma, le chiese con affetto: «come sta Michel?».
«Bene,» rispose lei, sorpresa per quella domanda che non si aspettava, «forse lui ha sofferto tanto per tutto il periodo della sua infanzia e poi, quando sembrava che tutto andasse ormai per il verso giusto, ha sofferto nuovamente per un solo istante, per causa nostra, ma la vita è così, non puoi prevederla».
«Appena sono arrivata a Parigi,» continuò Manuela, «ho telefonato ad Antoine, per fargli sapere che ero qui e chiedergli se voleva venire da Michel con me. Mi ha detto che lui andava tutti i giorni al cimitero, ha subito mandato una macchina per venirmi a prendere e siamo andati assieme. Nel riaccompagnarmi in albergo, mi ha chiesto se volevo passare da casa sua, per vedere come aveva arredato la stanza che era stata di Michel. Era commovente vedere tutto ciò, Antoine, pur se in tarda età, era diventato un “padre”. In quella stanza c’era tutto quello che aveva potuto raccogliere dalla vita di Michel, la sua chitarra, la batteria, i suoi jeans, tutto era stato messo lì, un po’ in disordine come in genere fanno gli uomini, ma in questo modo rendeva ancora meglio l’idea della vita disordinata che aveva avuto quel ragazzo. Sulla scrivania c’era un piccolo altarino, con un paio di foto di Michel, i suoi quaderni di scuola e qualche ciondolo, ma nel cassetto socchiuso notai una cosa che mi scosse molto: c’era la pistola di Antoine. Capii quali erano stati i suoi pensieri di questi ultimi mesi e, senza che lui se ne accorgesse, la presi e me la misi in borsa. In albergo vidi che era carica e pronta a sparare, così mi tornarono in mente i ricordi del funerale, di quell’uomo che un tempo era altezzoso e ora era distrutto, della vita di Michel, finita in un attimo per un errore, spezzata da un bacio di addio, in cui lui aveva visto il segno evidente di un tradimento».
E quel bacio aveva spezzato anche la sua vita e quella di Alberto, era troppo per lei, ecco perché voleva farla finita.
«E poi,» continuava Manuela con un filo di voce, «c’è ancora una cosa che devi sapere, una cosa terribile, uno scherzo della natura, che finora è rimasto un segreto ma adesso sta per esplodere».
Alberto sentiva quelle parole, le avvertiva pesanti e dolorose, ma era distratto da una cosa che forse Manuela non aveva notato, la tomba di Michel era stata manomessa, era stata aperta e poi richiusa male. Interruppe la ragazza e si avvicinò alla lastra che copriva il sepolcro, in quel momento anche Manuela notò la stranezza ed emise un grido sommesso e pieno di paura: «cosa è successo, qualcuno ha aperto la tomba? Hanno rubato il corpo di Michel? Che hanno fatto? Chi è stato?».
Alberto, ricordando la calma con cui Francesco aveva risolto il problema di accompagnarlo all’aeroporto e cercando di imitarlo, spostò con forza la pesante lastra di marmo che era rimasta socchiusa, in modo da vedere meglio cosa c’era sotto. Videro subito che anche la bara era stata aperta e tutto era stato richiuso in modo frettoloso ed approssimativo, ma chi e per quale motivo aveva potuto fare una cosa simile?
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